IL SESSO E L'AMORE

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pangocciole
CAT_IMG Posted on 30/5/2013, 18:32     +1   -1







Tratto dall'amore e il sesso nell'Antica Roma di Alberto Angela

Capitolo IX-
IL GRANDE GIOCO DELL'AMORE

Sesso in cucina
È un gradevolissimo odore di carne che cuoce assieme a delle spezie a guidare Lucius. La cucina è in fondo al breve corridoio nella zona servile della casa; lo si capisce perché non ci sono mosaici o affreschi: il pavimento è ricoperto con mattoni messi a spina di pesce e sulle pareti, accanto a rami secchi di piante da usare in cucina, si vedono macchie d’unto e graffiti con delle frasi incise nell’intonaco e delle righe messe in fila, simili ai giorni contati da un carcerato. Sono dei “numerali”, cioè conteggi di sacchi consegnati, giorni di lavoro, chissà…
Appena entra in cucina, Lucius viene accarezzato dall’abbraccio profumato degli aromi che fluttuano invisibili nell’aria, ma viene investito anche da un esplosione di colori: il rame delle casseruole appese al muro, il verde dei legumi tagliati sul tavolo di legno, il bianco del latte in una scodella, il rosso della carne fatta a cubetti, pronta per essere messa nella casseruola, il giallo del fuoco. E, al centro, c’è lei, Photis, la serva che prepara la cena ai padroni. È di schiena, e Lucius osserva i suoi movimenti mentre si dà da fare ai fornelli: sembra un serpente che ondeggia o un filo d’acqua di una fontanella che oscilla. Il va e vieni dei suoi reni evoca in Lucius la classica posizione sessuale della “Venere che dondola” (Venus pendula), con la donna che si muove, seduta a gambe larghe sull’uomo sdraiato.
È quello che i due faranno in seguito… Anche su di lei i colori colpiscono il giovane. Come la fascia-reggiseno color rosso vivo o le sue chiarissime palme delle mani che contrastano con la pelle scura. Lucius non vuole accontentare solo i suoi occhi, vuole premiare anche tutti gli altri sensi, e si avvicina alla serva. Ma nell’avanzare, urta una pentola e fa rumore. La ragazza si volta di scatto e fissa il ragazzo. La vista di Lucius ha un effetto dirompente sulla giovane donna, che rimane immobile, si arrende e socchiude gli occhi e le labbra. Il loro primo contatto avviene con la bocca, e Lucius sente il profumo del respiro alla cannella di Photis, poi accarezza la lingua che la ragazza gli offre, ormai prigioniera del suo desiderio, infine assapora il nettare che le labbra della ragazza distillano goccia a goccia…
Lucius chiede a Photis di sciogliersi i capelli, e di lasciarli liberi. Ma lei va ben oltre, sciogliendosi ciò che porta addosso. Rimane nuda, tranne per uno strano ciondolo metallico al collo dal quale non si separa mai. Davanti a Lucius appare finalmente quel corpo che ondeggiava come una fiamma. È un corpo sensuale, che i suoi occhi pennellano con i colori del desiderio: prima i seni, voluminosi e prominenti, poi i fianchi ampi in quel corpo magro, e infine il sesso, completamente depilato, che la ragazza pudicamente copre con una mano (forse più per calcolo malizioso che per vero pudore). Photis in quella posizione appare come Venere che esce dal mare. E Lucius la chiama “mia Venere, mia dolce Venere nera”.
Sono poi solo dei fotogrammi che ci descrivono quello che segue. Come il lampo dello sguardo o di un sorriso. Ma c’è anche il profumo di un seno, il sapore della saliva, la morbidezza delle ombre del suo corpo… È una Venere che si arrende sul tavolaccio da cucina, tra verdure tagliate, briciole di pane con le tazze colme di spezie che vengono rovesciate dall’ardore della passione… Tutto mentre la cena dei padroni aspetta sul fuoco, ribollendo la sua impazienza. Questa descrizione di sesso in cucina, liberamente ispirata a un’opera famosa, Le metamorfosi di Lucio Apuleio, 209 scritta nel II secolo d.C., permette di intuire quanto anche nelle opere i romani dessero un gran peso all’erotismo, visto che il sesso “spiccio” era comunque molto disponibile. Ma sia uno sia l’altro, paradossalmente, erano fuori dalla vita coniugale. Una scena di sesso in cucina come abbiamo visto o anche le rappresentazioni di amplessi passionali che si vedono sulle pareti di Pompei, non facevano parte della vita di marito e moglie. La libertà dell’amore e le gioie del sesso erano per altre donne (concubine, prostitute, schiave) e per altri uomini (amanti, schiavi). Ecco quindi spiegato perché entrambi cercavano l’adulterio, cioè il sesso fuori dal letto coniugale. A noi del Ventunesimo secolo, abituati al matrimonio per amore, può sembrare un’assurdità. Ma se non capiamo questo meccanismo della cultura romana, non capiremo il vero senso dell’amore e del sesso nell’antica Roma.

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Come lo fa la moglie…

Quello che fa la differenza nel sesso degli antichi romani è con chi si è a letto: se con un coniuge o con l’amante. Nel primo caso, l’obiettivo principale del sesso è la riproduzione; nel secondo, il piacere. Nel primo caso, quindi, una donna deve obbligatoriamente essere fedele, nel secondo è libera di cambiare partner quanto vuole. Ma ci sono altre conseguenze sorprendenti, e riguardano i movimenti e le posizioni. Perché a letto tutto cambia.
Nel suo ruolo di moglie, una matrona romana non deve conoscere le gioie del sesso. Mentre fa l’amore, non deve muoversi, né gemere. Niente abbracci sensuali, niente movimenti per facilitare l’amplesso del marito: sarebbe una tragedia. Dal momento che è arrivata vergine al matrimonio e che le nozioni di sesso le ha apprese facendolo con il marito, se fa qualcos’altro vuol dire che lo ha imparato facendo sesso con un altro uomo… Quindi deve rimanere immobile durante tutto l’atto sessuale e aspettare. Ma in quale posizione? In quella cosiddetta “del missionario” (cioè stando sdraiata sulla schiena), che facilita il concepimento, oppure, secondo Lucrezio, nella posizione “degli animali quadrupedi”, sempre per lo stesso motivo.
Marziale, in un suo scritto dal sapore umoristico, ci svela la vera atmosfera che si respirava nella camera di un marito e di una moglie in una notte di sesso. Senza di lui, non avremmo forse conosciuto dettagli illuminanti su una situazione che doveva essere molto diffusa nelle case delle coppie romane. Attraverso Marziale, infatti, scopriamo un marito che si lamenta con la propria moglie della sua eccessiva rigidità a letto e desidererebbe tanto che, quando fanno l’amore, accendessero una lucerna, che lei si togliesse il “reggiseno”, le sue tuniche e i suoi “mantelli” scuri, che proferisse parola e facesse qualche gesto, e che non lo abbracciasse come lei fa di solito ogni mattina con sua nonna… Insomma, marito e moglie facevano l’amore al buio, vestiti e in silenzio, senza abbracci focosi.
La mancanza di coinvolgimento nel sesso tra marito e moglie romani era davvero agghiacciante.

… e come lo fa l’amante: il piacere di dominare il maschio romano

Tutt’altra atmosfera si respira invece nella camera da letto di due amanti. Magari la stessa matrona che di sera è rigida come un pezzo di legno con il marito, muta e vestita come il manichino di un negozio, la mattina seguente con l’amante si trasforma in una tigre. Molte donne dell’alta società, infatti, rifiutano di obbedire ai rigidi principi di moralità e si lanciano nella sessualità più sfrenata con vari amanti. Alcune addirittura pubblicamente.
Celebre è il caso della figlia di Augusto, Giulia, che scandalizzerà il padre a tal punto che la farà esiliare a Ventotene (chiamata dai romani Pandataria), impedendole per sempre di tornare a Roma e di essere sepolta nel mausoleo di famiglia. Ma, senza arrivare a tanto, una folla di matrone si lancia alla scoperta dell’amore, vissuto come passione travolgente soprattutto a letto, dove si trasformano in vere e proprie cortigiane. Anche per il sottile piacere di… dominare l’uomo. In effetti, all’improvviso i ruoli s’invertono: è l’uomo a dover obbedire alla donna, ai suoi capricci, alle sue decisioni. Per una donna abituata a essere figura di secondo piano in famiglia e in generale in una società maschilista, sempre agli ordini di un uomo, l’adulterio non solo rappresenta una fuga verso l’amore e la passione mai conosciuti prima, ma vuol dire anche spezzare le catene, prendendosi una rivincita sull’uomo che ora viene dominato. Così come nell’amore coniugale è l’uomo a decidere, in quello extraconiugale è il contrario: diventa un semplice “oggetto”, in concorrenza con gli altri, e supplica i favori della donna. Il dominio è completo anche fisicamente. In effetti, una delle posizioni più utilizzate dagli amanti è la Venus pendula che abbiamo citato prima, o la mulier equitans, cioè la “donna che cavalca”, in cui la donna è a cavalcioni dell’uomo sdraiato sul letto. È una posizione tipica dell’amante, della cortigiana o della prostituta, perché è la donna che, muovendosi, dà piacere all’uomo. Ma al tempo stesso, in quel momento comanda lei, dirige l’amore e domina l’uomo diventando la sua padrona.

Le donne romane fingevano a letto?

La risposta è sì: “Fingi gioia con parola bugiarda … offri credibilità con il movimento e con gli occhi: mostrino il piacere sia le parole sia il respiro affannoso…”.
Così scriveva duemila anni fa Ovidio, incoraggiando la donna a fingere l’orgasmo! Già in età romana, insomma, e chissà quanto prima, le donne fingevano a letto al fine di compiacere il proprio partner, come accade ancora oggi, oppure per accelerare i tempi in modo che tutto finisca più rapidamente (una tipica situazione coniugale in cui la moglie non prova più piacere con il marito).
Bisognava stare attenti però a non esagerare e a non tradirsi con una sceneggiata palesemente falsa, dice Ovidio. Così facendo, infatti, una donna perde di credibilità e un uomo non la cerca più perché sente presa in giro la sua virilità. Già in epoca romana ci si è posti tante domande sull’orgasmo femminile, così “misterioso”… Perché a volte c’è e a volte no, mentre nell’uomo c’è sempre? È utile per il concepimento? Queste erano le domande che si ponevano.

Esistevano due scuole di pensiero: alcuni ritenevano che una donna non potesse, fisiologicamente, raggiungere l’orgasmo, altri invece sì. E tra questi ultimi c’era Galeno, che abbiamo già incontrato sulla questione dello schiavo che si finse malato per rimanere con la sua donna. Galeno riteneva che anche la donna avesse l’orgasmo, e che producesse persino dello sperma nel momento più intenso dell’amplesso. In realtà lo “sperma” evocato da Galeno non era altro che il liquido lubrificante emesso dalla donna durante l’eccitazione. Galeno riteneva che entrambi gli spermi, maschile e femminile, “facilitassero i rapporti amorosi, facendo nascere il piacere”, e che quindi aiutassero il concepimento.


Su un fatto i medici romani erano d’accordo: che fosse necessario un minimo di piacere da parte della donna per generare un bambino.

Raggiungere il piacere insieme

Ovidio andava oltre: uomo e donna dovevano raggiungere insieme l’orgasmo. Il suo consiglio era quello di “accendere” la donna, durante i preliminari, con sapienti movimenti delle dita della mano sinistra e, una volta scoperti i punti che la donna desiderava fossero toccati, non bisognava fermarsi: “Vedrai i suoi occhi brillare di tremulo splendore come il Sole spesso viene riflesso dall’acqua trasparente … si raggiungerà un tenero mormorio, dolci gemiti e parole adatte al gioco d’amore”.

A quel punto l’atto sessuale deve prendere la via maestra, stando attenti che il piacere di entrambi avanzi parallelamente fino a… “raggiungere contemporaneamente la meta”. Solo quando l’uomo e la donna giacciono vinti ed esausti il piacere è completo.

Il Kamasutra dei romani
Quello che è poco noto è che circolavano veri e propri “manuali per fare l’amore”, che enumeravano e descrivevano le varie posizioni con il modo migliore, più piacevole (per sé o per il partner) o più creativo, per fare sesso. Questi manuali erano disponibili ben prima che Roma diventasse la superpotenza del Mediterraneo.
In effetti, fin dall’epoca di Alessandro Magno sono comparse opere che spiegavano le tecniche di seduzione, la sessualità e anche le varie posizioni. A sentire i greci, questo genere di manuali aveva un’origine antichissima; l’autrice del primo sarebbe stata addirittura Astyanassa, una delle ancelle della mitica Elena di Troia, che descrisse tutti i modi per fare l’amore. Da quel momento in poi queste opere di letteratura erotico-pornografica ebbero molto successo. Erano reperibili soprattutto ad Alessandria d’Egitto; poi, con l’espansione romana, si diffusero un po’ ovunque.

Per avere un maggiore appeal, circolavano spesso con dei nomi femminili, quelli delle escort più famose, che svelavano così i loro segreti (una vera astuzia di vendita, incredibilmente moderna, per garantirne il successo): Betrys, Philaenis, Nike di Samos, Callistrata di Lesbos, queste erano le donne esperte di sesso che stuzzicavano la curiosità del lettore maschile. Fanno caso a sé due donne. Una è Pamphila di Epidauro, un’egizia che visse in Grecia sotto Nerone. Fu una donna di incredibile prolificità letteraria: scrisse 33 libri sulla storia della Grecia, ma anche volumi su altri temi, compresa un’opera intitolata Sul sesso.

L’altra donna è Elefantide, una poetessa del I secolo a.C. amante del sesso ed esperta nel realizzare ricette abortive. A lei viene attribuito il Kamasutra romano forse più famoso: De figuris coitus, probabilmente un libro-atlante illustrato delle varie posizioni, con tanto di spiegazioni. Sono questi libri ad aver ispirato i quadretti erotici che arredavano le ville degli antichi romani. Molti sospettano, però, che a parte poche eccezioni come quelle appena citate, dietro a questi libri sull’erotismo si nascondessero in realtà autori maschili…
Sebbene si trattasse di best seller assoluti per l’antichità, in vetta alle preferenze (o alle vendite, come diremmo oggi), di queste opere non ci è giunta neanche una pagina. Abbiamo solo pochissime informazioni da alcuni autori antichi. E la cosa è un po’ strana. Come mai ci sono giunte tantissime opere del passato, dei più diversi generi letterari, ma non queste? Possibile che i monaci medievali non ne abbiano riscritta neanche una copia? Forse, in realtà, qualche cosa c’è, da qualche parte in qualche biblioteca, magari con un titolo sbagliato, o rilegata assieme a un’altra oscura opera antica. Oppure, salterà fuori in qualche sito archeologico, per esempio a Ercolano, dove, nella Villa dei Papiri, sono riemerse opere letterarie delicatissime ancora intatte, conservate dall’eruzione: fino a oggi è tornata alla luce la stanza con la biblioteca di opere in greco della corrente epicurea. Manca quella con opere latine: chissà se un giorno verrà ritrovata. E chissà se salterà fuori uno di questi best-seller di età romana…

Le posizioni per fare l’amore
Quali posizioni dell’amore amavano gli antichi romani? Ne preferivano alcune in particolare? Ovviamente, sotto le lenzuola ognuno aveva le sue preferenze e non ci vuole molta immaginazione per capirlo. Tuttavia, per piacere di più o per nascondere le parti meno belle del corpo, alcune posizioni erano “consigliate” alle donne:

“– Una ragazza di bell’aspetto faccia l’amore sdraiata sulla schiena guardando in faccia il suo amante, per mostrare bene il suo viso.

“– Se è di statura piccola, lo ‘cavalchi’, in modo da mascherare la differenza di statura.

“– Se ha delle belle spalle, assuma una posizione che mostri le spalle. Se ha delle belle gambe, ‘faccia come Milanione, che portava sulle spalle le gambe di Atalanta’. Questa è la posizione più efficace.

“– Se una donna ha delle belle gambe giovanili e un bel seno, si metta in diagonale sul letto mentre l’uomo sta in piedi.

“– Se invece una donna vuole mostrare la linea lunga dei fianchi, si metta in ginocchio sul letto e reclini la testa all’indietro (per dare più curve ‘slanciate’ alla sua figura).

“– Se ha la pancia con le rughe, si metta a cavallo del suo partner mostrandogli la schiena.

“– La posizione più semplice e meno faticosa è quella nella quale lei si sdraia di fianco sul letto, con l’amante che l’abbraccia da dietro…”.



Questi sono i suggerimenti di Ovidio nel terzo libro del suo Ars amatoria, il quale però dà anche un ulteriore consiglio per poter “assaporare” con il massimo del piacere le varie posizioni del sesso: apprezzare le donne mature. Perché hanno un grande vantaggio: l’esperienza. Come sottolinea il poeta, “è l’esperienza che fa l’artista”, e aggiunge: “… In una donna già matura l’esperienza è maggiore … Con cure esperte, sa compensare i danni dell’età, in tal modo che non ti appare affatto vecchia, e in mille pose sa cogliere il piacere così come tu vuoi … senza irritanti, vani eccitamenti”.
Bisogna però sottolineare che duemila anni fa il concetto di “vecchia” era diverso dal nostro… Per un romano, una quarantenne, oggi comunemente apprezzata come donna giovanile, affascinante e al massimo della propria sensualità, era invece considerata molto in là con gli anni, quasi una vecchia, appunto, essendo l’età del matrimonio intorno ai 14 anni e la speranza di vita femminile di circa 29 anni…
Molte di queste posizioni citate da Ovidio sono rappresentate sulle famose pitture di Pompei. Ma al di là delle motivazioni “estetiche” sul modo di fare l’amore, ci sono anche le posizioni più pratiche del gioco del sesso, quelle che danno più piacere al corpo o alla mente. Quante sono? Molte più di quante possiate pensare…

Gli acrobati del piacere
Agli inizi dell’Ottocento, il filosofo tedesco Friedrich-Karl Forberg pubblicò uno studio sul comportamento sessuale basato sui testi antichi (greci e romani, essenzialmente): De figuris Veneris. Il manuale fece molto scandalo all’epoca, e questo ha fatto la sua fortuna, perché è stato ripubblicato più volte nei secoli successivi. Al termine delle sue osservazioni, Forberg fa un elenco delle possibili posizioni che gli antichi assumevano facendo sesso. Arriva addirittura a 85 posizioni dell’amore!
Si giunge a un numero così alto combinando, per così dire, “azioni” erotiche sul partner, con posizioni ogni volta diverse.
In verità Forberg arriva a descrivere novanta posizioni, coinvolgendo però situazioni “estreme” come il sesso tra cinque persone, oppure il rapporto con animali ecc.
Il fatto sorprendente è che queste posizioni si trovano tutte quante nei testi antichi, sparse nelle varie opere di ogni tipo giunte fino a noi… Insomma, Forberg le ha solo elencate, nulla di più. In altre parole, greci e soprattutto romani avevano una grande “fantasia” a letto…
Ma adottavano davvero tutte queste posizioni? Non possiamo saperlo, ovviamente. In fondo erano come noi, creativi e passionali, ma non certo depravati come si crede. Erano solo amanti dei piaceri della vita, e il sesso, come abbiamo detto, era vissuto senza quel senso di peccato e di colpa oggi così diffuso. Lo si viveva pienamente, come gioco e come piacere.
Tuttavia, un modo per scoprire quali posizioni adottassero gli antichi romani c’è… Ed è sotto gli occhi di tutti. Basta consultare (sui libri, nei musei o su Internet) gli affreschi “erotici” di età romana, le statuette o le lucerne che raffigurano amplessi, o anche i graffiti sui muri di duemila anni fa. Ecco allora riemergere tutto il mondo “proibito” dell’epoca antica, quasi fosse un reportage a luci rosse. È un mondo che noi ora tenteremo di scoprire e descrivere brevemente, con tutta la discrezione, il distacco del caso, ovviamente. Ma anche con tutta la curiosità che noi, che viviamo in un’epoca che concede ampie libertà, possiamo avere nei confronti di un mondo antico, così lontano, che è sempre apparso chiuso ma anche, secondo un cliché tanto diffuso quanto sbagliato, depravato. Allora, come stanno le cose?

“Fotogrammi” a luci rosse

Negli affreschi, le posizioni più classiche sono quella del missionario (donna sotto e uomo sopra), quella della “leonessa” (con la donna a quattro zampe e l’uomo dietro) e la già citata Venus pendula (o pendula conversa), cioè la donna che cavalca l’uomo in ginocchio o seduta a gambe larghe. La stessa posizione con la donna girata, che mostra la schiena e il “lato B” al suo amante, doveva piacere a molti uomini, visto che è rappresentata non di rado (pendula aversa o equis aversis).
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Quello che colpisce negli affreschi sono i dettagli laterali alla scena: l’amplesso è quasi sempre rappresentato su un letto con una testiera alta, su cui la donna o l’uomo a volte si appoggiano con la mano. C’è poi sempre uno spesso materasso con delle coperte a righe, di quelle che da noi si usano al mare in estate. Era evidentemente una costante nelle camere da letto dei romani.
I due partner rappresentati sono sempre belli e giovani (non c’è mai un uomo calvo o una donna grassa): un po’ come oggi nelle foto delle riviste glamour. Insomma, quelli erano le modelle o i modelli di allora. All’occhio dell’osservatore non sfuggono alcuni curiosi dettagli della donna, che dovevano essere molto alla moda allora, ma che oggi non lo sono più.
I capelli, per esempio. Sono sempre raccolti con spille, riuniti in chignon o in trecce avvolte attorno alla testa. Nessuna donna romana ha l’abitudine di sciogliersi i capelli per fare sesso, cosa che oggi è vista come un gesto molto sensuale. Lo stesso Ovidio, però, se ne rende conto ed esorta le donne a lasciare fluttuare i capelli nei preliminari. La nuca della donna, insomma, era una vista abituale per l’occhio dell’uomo romano mentre oggi non lo è più.

Molte ragazze sono rappresentate mentre fanno sesso con il reggiseno (la fascia) allacciato, mentre oggi scioglierlo è uno dei momenti più carichi di erotismo dei preliminari. Si potrebbe quasi concludere che i seni non fossero considerati un “oggetto del desiderio” per gli uomini, cosa ovviamente non vera. Era forse solo una diffusa abitudine da camera da letto il tenerlo indossato e, forse, anche molto eccitante, come oggi la lingerie.

È anche vero che le coppie rappresentate negli affreschi non sono marito e moglie, perché, come abbiamo visto, il sesso coniugale è quanto di più piatto, buio e “immobile” si possa concepire in un amplesso. Quelle ragazze dipinte, tranne rarissimi casi, sono quindi delle concubine, delle schiave, delle escort venute in casa dell’uomo, o delle prostitute nei bordelli. Ecco perché sono sempre giovani e in posizioni “acrobatiche”: nelle relazioni extraconiugali si cerca solo il piacere dei sensi. E probabilmente, vista l’essenzialità del rapporto in un lupanare, era pratico tenere i capelli sempre tirati su per non doverli ogni volta rimettere in ordine tra un cliente e l’altro; la fascia-reggiseno forse era tenuta per concentrare l’attenzione e la vista del cliente sull’obiettivo primario del rapporto, in modo che i tempi fossero più rapidi… Tutto questo faceva parte delle abitudini del sesso a pagamento.
Quando è possibile, si nota chiaramente sugli affreschi che le donne si depilavano completamente anche nell’intimità: a differenza di oggi, si trattava di un’abitudine costante nell’antichità. Nel caso dell’uomo, invece, la depilazione dei genitali non era considerata segno di virilità ed era quindi scarsamente praticata.

Le donne, però, non sono mai veramente nude: spesso al braccio e alla caviglia hanno dei lacci colorati, o più probabilmente dei bracciali. E non mancano le collane. L’oro o i gioielli impreziosivano quei corpi carichi di passione. Naturalmente quello che manca negli affreschi, nelle statuette o nelle lucerne, oltre al movimento, sono i profumi che dovevano riempire le stanze.

Proseguendo il nostro viaggio nelle posizioni dell’amore, scopriamo le varianti a quelle classiche, come l’uomo in piedi e la donna appoggiata su un tavolo o un letto, con le gambe in alto posate sulle spalle del suo partner.

Oppure entrambi sdraiati su un fianco, con l’uomo che da dietro penetra la donna sollevandole delicatamente una gamba, mentre lei gira il viso e lo bacia accarezzandogli dolcemente la testa. La donna che soddisfa un uomo oralmente (fellatio) è un’altra posizione comune negli affreschi e sulle lucerne. Il contrario, invece, cioè l’uomo che soddisfa oralmente una donna (cunnilingus), è rarissimo; pensate, ne conosciamo un solo caso in tutto l’Impero. È in un affresco di Pompei, che molti ritengono sia in realtà una rappresentazione volutamente provocatoria per fare sorridere chi la guardava, dal momento che quell’atto sessuale era considerato il più grosso tabù sessuale per i maschi romani. È probabile che fosse una delle pratiche sessuali meno diffuse in camera da letto.
Anche se proibito dalla morale, erano comunque in molti ad avere un rapporto orale con una donna, al riparo dalle occhiate tra le mura domestiche. Come dimostra una lucerna emersa a Cipro, sulla quale è rappresentato un classico “69”, nel quale entrambi i partner si danno piacere, e in contemporanea, nella pratica orale. Quasi a sottolineare lo status di parità tra uomo e donna, se non nella vita, almeno nei piaceri del sesso.

Negli affreschi pompeiani emergono poi anche posizioni omosessuali, come due donne sdraiate su un letto che si baciano con passione o altre due che fanno sesso in una posizione che di solito solo un uomo e una donna assumono: una delle due è sdraiata sul letto, l’altra è in piedi e la solleva per le gambe, penetrandola con ogni probabilità con un finto pene di cuoio, legato al suo corpo con delle cinghie. Scopriremo più avanti l’esistenza di veri sex toys in età romana.

Tra le rappresentazioni che hanno colpito di più gli archeologi ce n’è una che rappresenta un amplesso a tre, in un vero e proprio “trenino” in cui la donna a quattro zampe fa l’amore da dietro con un uomo che, a sua volta, è penetrato da un altro uomo (su una coppa riemersa a Bregenz, in Austria, si arriva addirittura a tre uomini in fila…). L’“uomo di mezzo”, il cinaedus (l’uomo passivo), era una figura molto disprezzata socialmente: al pari di prostitute, attori e gladiatori godeva di pochissimi diritti civili, ma la sua figura era apprezzata a letto, pare, soprattutto dalle donne.

Il sesso di gruppo (di solito a tre: due uomini e una donna) era chiamato symplegmata (“intrecci”), e il fatto che venisse rappresentato con una certa frequenza starebbe a indicare che questa pratica fosse una delle fantasie erotiche più amate tra i romani.

Su una lucerna ritrovata a Creta, una donna fa sesso in piedi con un uomo avvinghiandolo con le sue gambe, mentre un altro uomo la penetra da dietro. È una doppia penetrazione. Va detto a questo riguardo che negli affreschi e nei testi è raro che si veda o si parli di una donna sodomizzata dal partner, tranne in casi particolari come questo. Di solito è una pratica che avviene tra uomini. E Marziale in questo è molto chiaro (Epigrammi, Libro XI, 22): “La natura ha dato al maschio due zone ben distinte: una è stata creata per le fanciulle e una per gli uomini. Fa’ uso della zona che ti compete”.

Le donne romane, se possono scegliere, vi arrivano come ultima risorsa a letto e come “regalo” al proprio partner. Nelle Metamorfosi di Apuleio, la serva Photis accorda a Lucius un piacere “extra” proprio con un rapporto di questo tipo. E lo stesso Marziale racconta di un’amante che egli ha posseduto per tutta la notte in mille modi diversi. Alla fine è lui a chiederle quest’ultimo passo, al quale lei, sfinita ma ancora vogliosa, acconsente.

Tra le posizioni più “estreme”, ce n’è una in una scena di sesso di gruppo in cui una donna soddisfa oralmente un uomo che viene penetrato da un altro uomo, mentre la donna subisce le attenzioni orali di un’altra donna…
Il sesso di gruppo non doveva essere affatto raro, se esistono persino dei graffiti a Pompei molto chiari a proposito. Come il seguente: “Il giorno 21 novembre Epafra, Acuto e Aucto si portarono in casa una donna pagando ciascuno 5 assi per un totale di 15. Erano allora consoli Marco Messalla e Lucio Lentulo”.

Più che una scritta su un muro, ricorda quasi una ricevuta fiscale con tanto di data (e consoli in carica). Ma ci testimonia anche i servizi che una escort romana era disposta a offrire.

E non è finita. La letteratura antica e i reperti archeologici ci informano di pratiche sessuali anche con… animali. Se il rapporto tra un uomo e un animale d’allevamento è una pratica non nuova nel mondo rurale, i testi antichi citano anche rapporti tra donne e animali. Erodoto e, in seguito, Strabone raccontano di una cittadina in Egitto, Mendès, dove, in occasione di alcuni culti misterici, un caprone sacro montava una donna.

Di altro tono è Apuleio: nelle sue Metamorfosi, racconta di Lucius trasformato in un asino che viene addirittura sedotto dalla sua padrona e ha un rapporto sessuale completo, malgrado le sue stesse perplessità. Curiosamente, una scena di questo tipo è proprio rappresentata su una lucerna rinvenuta a Treviri, in Germania. Forse si riferisce all’opera di Apuleio: l’asino è in piedi su due zampe come un uomo e la donna ha una gamba alzata, addirittura legata al ramo di un albero per migliorare il rapporto.

Naturalmente bisogna sempre prendere con il dovuto distacco e la dovuta prudenza racconti e notizie riportate da epoche così lontane, spesso frutto di esagerazioni per schernire o mettere in cattiva luce nemici o avversari. L’unico rapporto certo che conosciamo tra una donna e un animale è l’amplesso tra una ragazza e un toro nel Colosseo: ma si trattava di una sentenza capitale… Come spesso facevano i romani, l’uccisione di un condannato avveniva con la riproposizione di un mito. In questo caso quello di Pasifae: figlia del re Minosse, a Creta, s’innamorò di un toro e per potersi accoppiare chiese a Dedalo di costruirle una statua di legno a forma di vacca nella quale entrare.
Il toro montando la finta vacca fecondò Pasifae che diede alla luce il Minotauro, metà uomo metà toro.

Edited by pangocciole - 5/11/2013, 18:16
 
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